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Approcci alla liberazione palestinese: Il realismo magico come letteratura di resistenza

  • Immagine del redattore: Sanabel Abdelrahman
    Sanabel Abdelrahman
  • 31 mag 2023
  • Tempo di lettura: 13 min

Aggiornamento: 25 mag

Il realismo magico letterario può essere considerato un tipo di letteratura di resistenza nel contesto palestinese? Questo saggio sostiene che le manifestazioni magico-realistiche che sfidano la morte, i fantasmi, la capra nera, la terra con poteri di resurrezione e la malleabilità del tempo presenti nella letteratura palestinese contemporanea, svolgono un ruolo significativo nella resistenza agli effetti della Nakba.



Un coniglio nero con vivaci pennellate astratti rosa, verdi e gialli, caratterizzato da scritte arabe e motivi dinamici su uno sfondo scuro.
Illustrazione di Shaden Abed-Elal (lui) vive a Gerusalemme e attualmente frequenta il secondo anno di Comunicazione visiva alla Bezalel Academy for Arts and Design. Si interessa di Palestina, attivismo e discipline umanistiche, con particolare attenzione agli studi di genere, sulle donne e sulla sessualità.

L'8 luglio 1972, il prolifico scrittore e rivoluzionario palestinese Ghassan Kanafani, a soli 36 anni, salì in auto con la nipote Lamees, di 12 anni. Nel giro di pochi secondi, l'auto saltò in aria ed entrambi furono martirizzati all'istante. L'assassinio, avvenuto in Libano, è stato portato a termine dall'intelligence nazionale israeliana (Mossad). Questo esempio tragico ed esasperante dell'ossessione israeliana di uccidere ogni forma di vita palestinese è uno dei tanti. Tuttavia, l'assassinio di Kanafani, un'icona letteraria, perpetrato in modo così sanguinario e vendicativo espone la paranoia implicita di israele nei confronti della letteratura palestinese.


Oltre a essere un'importante figura rivoluzionaria, un membro di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e un prolifico scrittore di narrativa e studi letterari, Kanafani era anche un convinto sostenitore dell'incredibile potere della letteratura, soprattutto come strumento di liberazione. Nel suo libro fondamentale, Adab al-Muqāwama fī Filasṭīn al-Muḥtalla 1948-1966 (Letteratura di resistenza nella Palestina occupata 1948-1966), Kanafani insiste sull'agentività propria della scrittura. Egli sostiene che, nonostante la brutalità della realtà palestinese sotto il colonialismo israeliano, “la parola fa più del fuoco e riesce a sfondare il suo stesso assedio”. Kanafani ritiene che la poesia popolare svolga un ruolo attivo nella resistenza, oltre ad armare la saggezza tradizionale e trasformarla in una forma di letteratura di resistenza. Per lui, il ruolo più importante che la letteratura di resistenza svolge, come ribadisce più volte nel suo libro, è quello di taḥaddī (sfida o confronto).


Considerando la letteratura di resistenza come una letteratura che sfida e si confronta con le ripercussioni della Nakba Palestinese, in particolare nel denunciare la violenza dello Stato israeliano e nel dare spazio all'agentività palestinese e all'evocazione collettiva di futuri liberati, sostengo che il realismo magico svolga questo ruolo nel suo essere usato in maniera sempre più innovativa. Il realismo magico, un termine molto sfuggente, è definito in senso lato come “narrativa che mescola e sconvolge il realismo ordinario e quotidiano con episodi e poteri strani, ‘impossibili’ e miracolosi... [Opere letterarie che] rielaborano le fiabe popolari e le favole per creare un particolare tipo di realismo magico che mescola il moderno e il mitico”. Dove possiamo trovare manifestazioni di realismo magico che soddisfano i ruoli della letteratura di resistenza? Quali sono i tropi e le figure utilizzati per realizzare l'atto di resistenza?


Tra i temi poetici che Kanafani annota nel suo libro come letteratura di resistenza c'è quello degli alberi mobili e senzienti che condividono un legame profondo ed eterno con le loro controparti umane: il popolo palestinese. Kanafani fa luce su questo fenomeno letterario facendo riferimento al poema ampiamente riconosciuto del poeta Mahmoud Darwish, Āshiq min Filasṭīn (Amante della Palestina), in cui Darwish si chiede perché il verde bayyāra (boschetto) venga trascinato in prigione, in esilio; come faccia a rimanere sempreverde nonostante il suo viaggio e il profumo struggente del desiderio. Il poeta personifica l'albero e usa la sua caratteristica più banale, il verde, per insistere sulla resistenza e sulla perseveranza palestinese, alludendo al rapporto organico e post-umano che il popolo palestinese ha con i paesaggi naturali della propria terra.


Facendo questo tipo di paragone sfumato e di proiezione complessa, Darwish umanizza gli alberi palestinesi e suggerisce così che essi sono un tutt'uno con il popolo palestinese. In questo modo, nella tradizione letteraria palestinese, gli alberi si trasformano in un emblema di agentività, solidarietà e perseveranza. Anche se Kanafani non si addentra in un'analisi di questo fenomeno letterario, che io definisco “eco-surrealismo”, il solo fatto di includere questo esempio nel libro suggerisce l'incredibile potenza di queste connessioni magico-realistiche tra il popolo palestinese e il suo ambiente.


Al di fuori della letteratura, il rendere “Altro” la capra nera, un animale indigeno della Palestina da migliaia di anni, riflette questa inversione del rapporto eco-surrealistico tra le persone e la terra. Mantenendo le leggi del Mandato britannico, lo Stato israeliano ha mantenuto quella che vieta il possesso e l'allevamento della capra nera. Questa legge si basava su presunte affermazioni riguardo l’effetto dannoso di questa capra sull'ambiente, in quanto sostenevano che consumasse molte più piante di altri animali. Accusata di essere “scaltra, disonesta, maleducata e indisciplinata”, la capra nera veniva sempre rapita e uccisa per evitare che stravolgesse il paesaggio europeo che israele voleva ricreare sulle macerie di quello palestinese distrutto. Nel 1948, anno della Nakba, israele iniziò l’importazione di una capra svizzera bianca per sostituire quella nera. La capra bianca europea era descritta come “educata, bella, sana”e persino “civilizzata”. L'odio espresso nel dipingere la capra nera palestinese come una “creatura malvagia, mascherato da “prove scientifiche” nell'attribuirle l’effetto che questa ha sull'ambiente ’israeliano”, in realtà nasce dal risentimento per la libertà e la mobilità della capra nera. A differenza deɜ colonɜ israelianɜ, la capra nera possiede una conoscenza ancestrale della terra palestinese e può quindi “sconfinare” nei territori “israeliani” alla ricerca di cibo. La capra nera, accusata da scrittorɜ, giornalistɜ, politicɜ e dal pubblico israeliano di essere antisionista, è stata riammessa nei paesaggi naturali della Palestina dallo Stato coloniale soltanto in seguito allo scoppio ricorrente di incendi, a causa dei pini piantati dallo stato che voleva ne ricordassero la sua origine europea. La capra nera si occupava di tagliare gli alberi, impedire gli incendi e mantenere l'ecosistema. Queste inversioni precipitose del rapporto tra colonɜ e terra negli spazi “reali” contrastano profondamente con l'eco-surrealismo benevolo, intimo e magico che collega il popolo palestinese alla sua terra indigena.


Come gli alberi magici, alcuni dei principali protagonisti liberatori dei testi magico-realistici palestinesi sono i fantasmi. I fantasmi appaiono ripetutamente nella letteratura contemporanea palestinese non come sottoprodotti passivi del colonialismo israeliano, ma come agenti attivi di liberazione, per sé e per il proprio popolo. Spesso, questi fantasmi emergono dai corpi palestinesi martirizzati e hanno il ruolo di ricordare sempre al popolo palestinese ciò che è accaduto per mano dello Stato israeliano. Inoltre, ricordando al popolo palestinese le pratiche avviate dalla Nakba, questi fantasmi mantengono vivo il vigore della rivoluzione e l'urgenza della liberazione nelle menti e nelle anime delle persone palestinesi che invece sono in vita. Ciò corrisponde all'osservazione della letteratura latinoamericana secondo cui “i fantasmi letterari ci diranno molto sulla metafisica, la politica e la poetica dei loro autori... I fantasmi portano il peso della tradizione e della memoria collettiva... come legami con le famiglie e le comunità perdute... come promemoria dei crimini, delle crisi e della crudeltà della comunità”.


Tuttavia, perché i fantasmi possano produrre un tale cambiamento nel mondo materiale, è necessario che siano visti e ascoltati e che si creda nella loro esistenza. È qui che la fluidità e la potenza del realismo magico come modalità letteraria gioca un ruolo significativo:  grazie a un fenomeno letterario chiamato “naturalizzazione”, in cui le istanze magiche sono presentate come naturali o addirittura banali, i fantasmi collocati nello spazio immaginario sono “reali” nel senso che vengono visti e sentiti dalla loro gente. Non solo, ma in diversi testi letterari palestinesi, le persone palestinesi vive proteggono i fantasmi dallo sguardo voyeuristico di chi guarda (di solito europeo) che feticizza la Nakba palestinese senza simpatizzare con le persone palestinesi in quanto popolo che mette in atto una vera decolonizzazione.


In diversi testi letterari palestinesi, lɜ martiri ritornano sotto forma di fantasmi che possono “infiltrarsi” o tornare negli spazi da cui sono stati espulsɜ o uccisɜ. Darwīsh, soprannominato shāʻir al-muqāwama (il poeta della resistenza), in una poesia eponima del suo libro Ḥālat Ḥiṣār (Uno Stato d'assedio) dice che al- shahīd yuḥāṣirunī kullamā ʻishtu yawman jadīdan wa yasʼalunī: ayna kunt?” ("Il martire mi assedia ogni nuovo giorno che vivo e mi chiede: Dove sei stato?"). L'aspetto intrigante di questo verso della poesia profondamente commovente è che il poeta permette a coloro che hanno subito il martirio un giusto ritorno ai loro spazi. Così facendo, dà loro la possibilità di trascendere la morte superando la loro materialità. Vediamo come ai fantasmi viene data la facoltà di evocare e interrogare il mondo materiale di chi vive, revocando così la loro morte come forma di “fine” del corpo individuale e collettivo palestinese. Invece, attraverso lo spettrale ritorno deɜ martiri, si attiva una forma di unità tra il popolo palestinese e un legame più intimo con la terra da cui è stato espulso.


Vediamo esempi vividi di questi fantasmi che resistono al colonialismo fisico e metafisico di israele nel romanzo Sarāyā Bint al-Ghūl di Imil Habiby Khurāfiyya(Saraya, la figlia dell'orco: una favola palestinese) Il romanzo ri-processa una fiaba popolare che racconta di una ragazza rapita da un orco e intrappolata in una torre. I capelli le crescono così tanto che il cugino riesce ad arrampicarsi per poi uccidere l'orco e liberarla. Il narratore di Sarāyā Bint al-Ghūl intreccia la storia della sua vita con quella di Sarāyā, che nel romanzo appare sia nella forma del fantasma di una ragazza che è stata uccisa, sia nella forma di una ragazza che il narratore ha conosciuto da bambino. La descrizione del narratore del viaggio di ritorno in Palestina si intreccia con la dolorosa storia palestinese. Come lettorɜ, notiamo il modo in cui il romanzo si struttura nel regno dell'immaginario che sfocia nell'autobiografico, con il ricorrere di sogni ed esperienze oniriche. Nella descrizione di un villaggio palestinese, dopo la pulizia etnica per mano di israele, leggiamo:


“Loro [le persone palestinesi] tornarono a vedere di nuovo i fantasmi apparsi nell'anno della seconda Nakba, che girovagavano nei loro vicoli e quartieri. Per qualche motivo, alcune persone tra loro erano rimaste in superficie, vive. O forse i cadaveri lasciati in superficie erano stati richiamati in vita. Un fatto provato dal momento in cui, una volta tornate attraverso Raʼs al-Nāqūra, [le persone vive] erano mute, sorde, incapaci di parlare o di sentire”.


Lo stato colonizzatore percepisce i fantasmi palestinesi che emergono nei luoghi in cui sono stati martirizzati come “infiltrati” in questo romanzo e nella vita reale. Nel contesto del ritorno dei fantasmi, il corpo diventa un luogo di criminalità, come spiega la studiosa e avvocata palestinese Nadera Shalhoub-Kevorkian. Il suo saggio descrive come i cadaveri palestinesi costituiscano dei “punti caldi” per la criminalità; cioè, i luoghi dove sono sepolti i corpi palestinesi vengono continuamente distrutti da israele. Questa idea della violenza israeliana sui morti richiama i discorsi dello studioso Achille Mbembe sulla necropolitica in riferimento agli apparati “della vita soggiogata al potere della morte” attraverso la biopolitica, specialmente nel contesto palestinese. Partendo dalle teorizzazioni di Frantz Fanon sulla colonizzazione e le sue ramificazioni, Mbembe sostiene che il necropotere si sviluppa attraverso una “sorta di inversione tra la vita e la morte... in modo tale che la morte non abbia nulla di tragico”. Per lui, “l'occupazione israeliana dei territori palestinesi funge da laboratorio per una serie di tecniche di controllo, sorveglianza e separazione che oggi proliferano in altri luoghi del pianeta”. Così, questi spazi di necropolitica, descritti nel discorso di Mbembe, diventano sinonimo degli spazi di morte che Shalhoub-Kevorkian riporta nei suoi scritti.


Shalhoub-Kevorkian utilizza dati quantitativi per indagare sui crimini commessi contro i morti palestinesi e il modo in cui si relazionano con la memoria collettiva delle persone. Mette in luce il legame tra morte e colonialismo e la relazione tra lo stato israeliano e i suoi “soggetti coloniali” attraverso lo spazio della morte. Il suo saggio espone il potenziale delle persone palestinesi morte che israele teme come “morti viventi”. In poche parole, il saggio di Kevorkian mette in evidenza il terrore e la paura provati dallo stato e daɜ colonɜ israelianɜ nei confronti delle persone palestinesi morte “ritornanti” o dei fantasmi martirizzati.


Questo tema ricorre anche in altre opere letterarie palestinesi come Aʿrās Āmina(Le nozze di Aminah) di Ibrāhīm Naṣralla. Aʿrās Āmina ricorre ampiamente ai fantasmi nella narrazione, la cui voce narrante, Amina, ha visto uccidere da israele il figlio, il fratello e il marito. Ciononostante, Āmina continua a parlare con loro, a comprargli i vestiti e a prendere il caffè con loro. Nel romanzo compaiono anche gli angeli di due ragazze morte: non è solo Āmina a vedere questi angeli ma anche chi vive nel vicinato. A un certo punto, Āmina è colta dalla preoccupazione che i cadaveri vengano derubati nelle loro tombe. Ma un ragazzo, mentre la accompagna alle tombe, la rassicura dicendole: “Non preoccuparti, quelli che derubano lɜ martiri non devono scavare nelle tombe, ma solo versarvi sopra altra terra. Sai perché?”. “Perché?”, chiede lei. “Per assicurarsi che lɜ martiri non tornino, capisci?”. Questo brano esprime molto bene la paura e il timore israeliano nei confronti dei “morti viventi” palestinesi. Soprattutto perché israele ritiene che questi “morti viventi” siano capaci di esistere nel mondo materiale e di portare avanti la resistenza, il che aumenta l'agentività e la “concretezza” di questi attori magico-realistici. Anche se l'apparizione dei fantasmi è legata a eventi storici reali, il modo in cui Ḥabībī e Naṣralla posizionano i fantasmi, un'entità magica, in questo contesto mette in evidenza il legame tra la perdita subita dal popolo palestinese e la ricomparsa di figure ultraterrene.


Ciò implica che la grave ingiustizia commessa contro il popolo palestinese va ben oltre la realtà, anche se è radicata in essa. Questo paradosso così accennato è caratteristico del realismo magico come strumento narrativo e modalità letteraria malleabile. Nel suo saggio sul realismo magico e le narrazioni del malcontento, Abida Younas considera il realismo magico come il “linguaggio per eccellenza” nelle mani di scrittorɜ postcoloniali per mostrare il rifiuto dei sistemi culturali occidentali, anteponendo la tradizione all'innovazione e il mistero all’empirismo. Anche se la scrittrice colloca il suo ragionamento specificamente nell’era post-primavera araba, il suo testo presenta una idea imperativa del realismo magico come strumento attivo che sconvolge i confini dei generi letterari attraverso “la ricerca di rottura e continuità con le modalità e le strategie narrative”. È questo paradossale movimento di rottura e continuità che definisce il realismo magico, secondo Younas.


Pertanto, l'uso del realismo magico, che qui si manifesta nella resurrezione dei fantasmi dai corpi delle persone palestinesi cadute, significa anche l'eterno legame tra i corpi palestinesi e gli spazi in cui esistono, una forma di resistenza contro la colonizzazione che li vuole separare. Questi fenomeni magico-realistici offrono anche un’idea e una presentazione inedita del martirio che va oltre la perdita della corporeità, dove nuove forme di essere e di esistenza diventano possibili per quelle persone palestinesi che hanno perso la vita. In questo modo, nel testo la resistenza viene messa in atto contro la morte stessa.


Questi brani, che spiegano il legame tra fantasmi e la sfida alla morte, rielaborano uno dei temi ricorrenti nei racconti popolari: la resurrezione. Ciò segue una lunga tradizione nei racconti popolari palestinesi in cui i personaggi sfidano la morte (attraverso la resurrezione e la metamorfosi), il tempo (fermando e sconvolgendo la temporalità lineare) e i modi di essere (antropomorfismo e zoomorfismo). Vediamo un esempio di questa sfida alla morte in un racconto popolare intitolato Bulaybil al-Ṣayyāḥ(’Il piccolo usignolo”), che vede risorgere uno dei personaggi. Se rielaborato nella letteratura palestinese dei giorni nostri, questo esempio potrebbe essere utilizzato per riformulare l'atto del martirio. Nel racconto folcloristico, un uccello parlante consiglia a una ragazza i cui fratelli sono stati uccisi:


“Prendi una manciata di terra da quel cumulo”, disse, “e cospargila su quelle pietre laggiù, così i tuoi fratelli risorgeranno”. La ragazza prese un po' di terra, la gettò sulle pietre e i suoi fratelli tornarono in vita. Allora cosparse di terra tutte le pietre e ritornò in vita tutto il creato. Ognuno tornò alla sua famiglia,”


Questo brano rispecchia il potere di resurrezione non di un solo individuo palestinese, ma dell'intera umanità: parla del potere palestinese sulla morte. Questa resurrezione messa in atto da un essere umano è una dichiarazione di coraggio e resistenza che viene dall’idea palestinese di martirio. La resurrezione rimodula quindi il concetto di martirio prevalente nella tradizione letteraria, nella memoria collettiva e nell'identità palestinese.


Questi processi di rielaborazione, che reintroducono, ricontestualizzano, risignificano e reificano le realtà palestinesi attuali attingendo ai racconti popolari precedenti al 1948, possono essere ritrovati anche nelle altre opere di Ḥabībī. Ad esempio, nell'autobiografico Sirāj al-Ghūla(La lanterna dell'orchessa), Ḥabībī racconta come, durante il suo soggiorno in un paese dell'Europa orientale, lui abbia incontrato una giovane coppia originaria di Shafā ʿAmr, in Palestina come lui. Ḥabībī descrive come i tre parlarono di ajībat iḥyāʾ al-mawtā (“la meraviglia della resurrezione dei morti”). Ne discutono nel contesto della capacità del popolo palestinese di preservare lo stile di vita palestinese nella diaspora e negli altri paesi dove si è andato a rifugiare, nonostante una buona parte di esso  non abbia mai visitato la Palestina. Ḥabībī racconta della meraviglia della resurrezione con persone realmente conosciute in un contesto reale e rielabora l'idea della resurrezione proveniente dalla tradizione folcloristica palestinese nella vita quotidiana del popolo palestinese nel mondo. Questa resurrezione della memoria può essere considerata una resistenza contro la continua cancellazione che israele mette in atto della memoria palestinese e della storia della Nakba.


Qūl yā Ṭayr, una raccolta di racconti popolari palestinesi, è ricca di applicazioni magico-realistiche di metamorfismo, animismo e zoomorfismo. Tali fenomeni sono esemplificati da cavalli parlanti, forbici volanti, vasi da parto e bambinɜ che si trasformano in falci con la sola forza della volontà. La capacità di molti personaggi delle fiabe popolari di “soffiare la vita” nelle cose e di farle risorgere senza mai aver bisogno di un dio (o di un altro potere superiore), evidenzia l'autonomia e la resistenza del popolo palestinese contro l'oppressione e le uccisioni continue da parte di israele.


Questo include la capacità di controllare il tempo, che assume un significato ancora maggiore perché le vite delle persone palestinesi sono ancora fortemente influenzate dal 1948 e dalle sue sanguinose ripercussioni. Per lo più, queste istanze magico-realistiche recuperano il tempo “perduto” (pre-Nakba) e ne immaginano uno futuro. Lo vediamo nel racconto popolare intitolato Imm el-Sabaʻ Khamāyir (“I sette lieviti”). In questa fiaba popolare, un'anziana donna palestinese che vive da sola decide di preparare del pane. Vedendo che il lievito non ha fermentato, parte per un viaggio di nove mesi in Libano. Al suo ritorno, scopre che l'impasto non è lievitato e decide di partire per un altro viaggio finché il pane non lieviterà. Questo interessante aneddoto entra nel vivo della vita palestinese (soprattutto contadina) e dei suoi dettagli, accentuando l'irrilevanza del tempo. Manda in frantumi la nozione di temporalità intesa in maniera lineare e la sostituisce con la potenzialità di disturbare questa linearità del tempo e di trasformarne la concezione. Il fatto che il lievito non sia ancora fermentato, dopo quasi un anno di attesa, dimostra che la temporalità dritta è una mera concezione occidentale piuttosto che una realtà imposta. Questa fiaba popolare esprime l'agentività palestinese, attraverso la rappresentazione del tempo come malleabile, mutevole e persino volubile.


Questi racconti popolari rielaborati nella realtà attuale, sottolineano la capacità del popolo palestinese di riportare indietro il tempo o di spingerlo in avanti, con la Nakba come momento storico cruciale. Che questa unità di tempo estesa esista prima della Nakba o dopo la Liberazione, il tempo diventa un'entità controllata che soccombe alla volontà e all'agentività palestinese piuttosto che una “verità” della linearità occidentale. Ciò assume un'importanza fondamentale perché, nel contesto di questa linearità, il popolo palestinese viene forzatamente soggiogato e relegato a un passato lontano in perenne svolgimento, che torna indietro e a partire dalla Nakba si trova in un movimento perennemente (e paradossalmente) oscillante (ma statico).


Mentre israele e il resto del mondo occidentale continuano a impiegare tutti i mezzi immaginabili per cancellare la vita del popolo palestinese e disperdere qualsiasi slancio rivoluzionario, la letteratura di resistenza assume un ruolo fondamentale. Mantiene vivo il fuoco della rivoluzione e della resistenza nel popolo palestinese e in tutte le nazioni libere del mondo. Nasconde l'impressionante agentività della resistenza collettiva e i sogni di liberazione futura. Annega le voci pessimistiche e apologetiche e le distrazioni che ci allontanano da noi stessɜ e ci addomesticano trasformandoci in soggetti che obbediscono al capitalismo occidentale, a al colonialismo di insediamento. Il realismo magico, con il suo potenziale politico, il suo invito a immaginare una liberazione collettiva, la sua venerazione e riattivazione di tropi popolari tratti dalla tradizione palestinese e il suo impegno per una futura Palestina libera, sostiene la resistenza e infonde vita magica alla letteratura.

Sanabel Abdelrahman è borsista post-dottorato presso l'Università MECAM/Tunis. La sua ricerca si concentra sul realismo magico nella letteratura palestinese. Ha conseguito il dottorato presso la Philipps-Marburg Universität e le lauree di primo e secondo livello presso l'Università di Toronto. Si interessa di cinema e arti visive. Scrive narrativa e saggi.

Per i riferimenti bibliografici si prega di consultare l’articolo originale.


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