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La lunga storia del tentativo israeliano di pulizia etnica della Striscia di Gaza

  • Immagine del redattore: Muhammad Shehada
    Muhammad Shehada
  • 17 feb
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 6 giorni fa

Approfondimento: L'idea di espropriare e sfollare il popolo palestinese è un pilastro fondamentale di Israele, e Gaza è stata, da sempre, il suo banco di prova.



Le rovine di Gaza
Rovine di Gaza (Foto: Hosny Salah/Pixabay

Per la quinta volta da quando si è insediato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ribadito la sua controversa proposta di sfollare la Striscia di Gaza e trasferirne definitivamente la popolazione in Giordania, Egitto e altri paesi.


"Al mondo, non ci sono condizioni peggiori di quelle della Striscia di Gaza in questo momento", ha dichiarato il presidente repubblicano. "Vivono all'inferno. È una trappola mortale".


Sebbene la retorica che circonda la proposta di Trump sia disonestamente mascherata da gesto umanitario, l'idea di espropriare e sfollare i palestinesi è un pilastro fondamentale di Israele.


Questo è solo l'ultimo capitolo della lunga storia coloniale dei governi israeliani che si sono succeduti e che hanno ripetutamente e visibilmente cercato di svuotare Gaza, in particolare, almeno dal 1948. Israele ha praticamente messo in atto ogni strategia possibile per raggiungere questo obiettivo, dai massacri, alla repressione violenta, all'impoverimento e alla miseria, fino a tangenti e incentivi, ma non è mai riuscito a espellere ed esiliare direttamente il popolo palestinese.


Come affermò il Ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan nel 1967, "Continuerete a vivere come cani, ma chiunque voglia potrà andarsene - e vedremo dove ci porterà questo processo... Tra cinque anni, potremmo avere 200.000 persone in meno - e questa è una questione di enorme importanza".


Inoltre, lo svuotamento di Gaza non è solo pulizia etnica, ma anche complicità nel genocidio. Israele ha reso Gaza inabitabile creando condizioni che portano alla distruzione di un gruppo, totale o parziale. La dispersione del popolo palestinese di Gaza in altri Paesi da parte di Trump significherebbe la cessazione dell'esistenza del popolo palestinese come gruppo.


La Striscia di Gaza divenne un enorme campo profughi nel 1948, quando Israele inizò la pulizia etnica distruggendo oltre 400 villaggi palestinesi. Più di 200.000 di oltre 700.000 persone palestinesi sfollate cercarono rifugio nell'enclave, triplicandone la popolazione. Oggi, oltre l'80% della popolazione di Gaza, sono queste persone rifugiate espulse o fuggite durante la Nakba.


Queste persone rifugiate sono diventate un problema irrisolvibile per Israele, alcune hanno tentato di tornare alle proprie case, spesso a pochi chilometri da Gaza, mentre altre persone ancora si sono impegnate nella resistenza armata o popolare per poter esercitare il loro diritto al ritorno.


Negli anni successivi alla Nakba, Israele reagì con la violenzauccidendo tra 2.700 e  5.000 persone palestinesi che cercavano di rientrare nei villaggi da cui erano state scacciate.


Nel 1949 il governo israeliano e gli Stati Uniti fecero pressione sull'Egitto affinché firmasse un armistizio che inglobava altri 200 km² della Striscia di Gaza per rendere ancora più difficile l'ingresso in Israele dei rifugiati palestinesi.


Inoltre nel 1951, gli Stati Uniti e Israele iniziarono a fare ulteriore pressione sull'Egitto affinché trasferisse migliaia di persone palestinesi dai campi profughi di Gaza al deserto del Sinai. Il governo rivoluzionario egiziano del 1952, in cerca di legittimità internazionale e alle prese con problemi interni, assecondò queste pressioni.


Si accordarono infine con l'UNRWA nel 1953 per il trasferimento di 12.000 persone palestinesi da Gaza al Sinai in cambio di 30 milioni di dollari dagli Stati Uniti (oggi equivarrebbero a 355 milioni di dollari).


Questo accordo, in concomitanza con gli attacchi israeliani a Gaza, in particolare ai campi profughi per terrorizzare la popolazione e spingerla a fuggire in Egitto, ricorda le tattiche israeliane messe in atto oggi. Ad esempio, nel 1953, l'esercito israeliano fece irruzione nel campo profughi di al-Bureij e uccise oltre 50 persone palestinesi.


Il popolo palestinese scese in piazza per manifestare contro la pulizia etnica. Quelle proteste raggiunsero il culmine all'inizio del 1955 con slogan come "Hanno scritto il progetto del Sinai con l'inchiostro. Lo cancelleremo con il sangue", che spinsero l'Egitto ad annullare l'accordo.


L'anno successivo, Israele lanciò l'aggressione Tripartita contro l'Egitto e occupò Gaza per oltre quattro mesi, durante i quali l'esercito israeliano distrusse infrastrutture vitali, inclusi campi profughi e ferrovia, massacrando oltre 1.500 persone a Gaza, di cui 275 solo nel campo profughi di Khan Younis.


Israele ha utilizzato altre tattiche brutali per terrorizzare la popolazione di Gaza e spingerla a fuggire in Egitto, tra cui l'arresto di tutti gli uomini di età compresa tra 15 e 60 anni e conseguente incarcerazione di molti di loro, esecuzioni sommarie, assassini di attivisti impegnati nella resistenza armata o popolare e l'uso di bambini come scudi umani. Ciò ha spinto alcun3 abitanti di Gaza a fuggire in Egitto a piedi, a dorso di cammello o a dorso d'asino, come documenta la dott.ssa Anne Irfan nel suo libro di prossima pubblicazione "A short history of the Gaza strip".


Nel 1967, Israele occupò nuovamente Gaza costringendo oltre 45.000 gazawi a trasferirsi in Egitto o in Giordania per la durata della guerra e nella fase successiva. Uccidendo o deportando chiunque tentasse di tornare. Israele incoraggiò le persone di Gaza a partire per la Giordania fornendo loro navette fino a quando, nel 1968, la Giordania non ne vietò l'ingresso nel suo territorio.


Israele cercò anche di convincere i Gazawi ad andarsene nel 1968, istituendo "uffici per l'emigrazione" nei campi profughi e offrendo "denaro e passaporti stranieri alle persone rifugiate palestinesi che accettavano di trasferirsi permanentemente all'estero, principalmente in Canada, Australia e Brasile", osservò la dott. Irfan. Israele pagò persino i costi del trasferimento di circa mezzo milione di dollari per 200 famiglie. Ma il progetto non attirò molte persone palestinesi.


La coercizione e l'impoverimento di Gaza da parte di Israele spinsero circa 20.000 persone palestinesi ad andarsene nei primi sei mesi del 1968. Poi, negli anni '70, Ariel Sharon, che guidò il massacro di al-Bureij del 1953 e in seguito il Comando Sud dell'esercito israeliano, si affrettò a isolare Gaza "con una rete di recinzioni e pochi punti di accesso", evidenzia la dott. Irfan.


In seguito aggiunge che Sharon lanciò una spietata campagna di "espulsioni forzate, demolizioni di case e violenza indiscriminata a ritmi serrati", oltre alle esecuzioni sommarie. Sharon, che in seguito divenne Primo Ministro di Israele, prese di mira in particolare i campi profughi sovraffollati di Gaza e cercò di smantellarli completamente. Proprio come Israele ha sistematicamente annientato Jabalia nel 2024, nel 1971 Sharon ordinò alle sue forze armate di demolire oltre 2.500 case nei campi profughi di Jabalia, Shati e Rafah. Di consequenza vennero sfollate oltre 16.000 persone palestinesi. Israele ha continuato a portare avanti questa triplice strategia di distruzione, massacro ed espulsioni forzate dagli anni '70 fino al 2005.


Questa strategia si accompagnò alla rampante colonizzazione di Gaza, in quella che Israele chiamava la "strategia delle cinque dita", con la costruzione di blocchi di insediamenti in posizioni strategiche così da frammentare Gaza in cinque gabbie discontinue (Israele ha nuovamente messo in atto la strategia delle cinque dita durante la guerra del 2023-2025).


Negli anni '80, oltre un terzo dell'intera area di Gaza fu espropriato da Israele, dando ai coloni una quantità di terra 400 volte superiore e il 1891% di acqua in più rispetto a una persona palestinese media.


Il piano israeliano di decimare la popolazione di Gaza proseguì anche dopo la firma degli Accordi di Pace di Oslo del 1993. Nel 2004, il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano, Giora Eiland, definì Gaza "un enorme campo di concentramento" e propose di annettere 600 km² del Sinai per disperdere la popolazione palestinese.


Il blocco israeliano, per sua stessa natura, mirava a ingabbiare la popolazione in un permanente stato di non-vita in un’invivibile "baraccopoli tossica", costringendola a "vivere come cani", come profeticamente disse Dayan, oppure ad andarsene. Questo è stato ribadito in maniera inequivocabile nel 2019 da un alto funzionario israeliano che ha ammesso che Israele stava "attivamente spingendo per l'emigrazione palestinese da Gaza" e stava "lavorando per trovare altri paesi che avrebbero potuto essere disposti ad assorbire la popolazione palestinese".


Le condizioni di Gaza sono il risultato diretto dei blocchi messi in atto dalle politiche israeliane, dei ripetuti attacchi militari e delle limitazioni alla circolazione che hanno spinto l'enclave in uno stato di povertà cronica e di sottosviluppo.


Invece di affrontare le cause profonde della sofferenza, la soluzione proposta da Trump scarica la colpa sulle stesse persone sfollate: inquadrando il popolo palestinese come un problema da "risolvere", anziché come una popolazione che ha diritto all'autodeterminazione, alla dignità e alla giustizia.


L'idea che il popolo palestinese possa "insediarsi nuovamente" nei paesi confinanti implica la lunga espropriazione da parte di Israele del popolo palestinese venga accettata e considerata legittima.


Inoltre, normalizza pericolosamente lo sfollamento e la pulizia etnica come opinione politica dominante legittima, con gravi implicazioni non solo per Gaza, ma anche per la Cisgiordania, l'Ucraina e altre parti del mondo.


Muhammad Shehada è uno scrittore e analista palestinese di Gaza e responsabile degli affari europei presso Euro-Med Human Rights Monitor.

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